14 settembre 2011

Dammi il mio giorno

Dammi il mio giorno;
ch'io mi cerchi ancora
un volto d'anni sopito
che un cavo d'acque
riporti in trasparenza,
e ch'io pianga amore di me stesso.

Ti cammino sul cuore,
ed è un trovarsi d'astri
in arcipelaghi insonni,
notte, fraterni a me

un incurvarsi d'orbite segrete
fossile emerso da uno stanco flutto;
dove siamo fitti
coi macigni e l'erbe.


(S. Quasimodo - Dammi il mio giorno)

15 luglio 2011

Harry rimase inginocchiato accanto a Piton, a guardarlo, quando all'im-provviso una voce fredda e acuta parlò così vicino da farlo balzare in piedi, la fiala stretta in mano, convinto che Voldemort fosse tornato nella stanza.

La sua voce riverberava dalle pareti e dal pavimento, e Harry capì che stava parlando a tutta Hogwarts e dintorni, che gli abitanti di Hogsmeade e coloro che ancora combattevano dentro il castello l'avrebbero sentita chia-ramente come se fosse stato accanto a loro, il suo respiro sul collo, mor-talmente vicino.

«Avete combattuto valorosamente» diceva la voce acuta e fredda. «Lord Voldemort sa apprezzare il coraggio.

«Ma avete subito pesanti perdite. Se continuerete a resistermi, morirete tutti, uno per uno. Io non desidero che ciò accada. Ogni goccia di sangue magico versata è una perdita e uno spreco.

«Lord Voldemort è misericordioso. Ordino alle mie forze di ritirarsi, immediatamente.

«Avete un'ora. Disponete dei vostri morti con dignità. Curate i vostri fe-riti.

«Ora, Harry Potter, mi rivolgo direttamente a te. Tu hai consentito che i tuoi amici morissero per te piuttosto che affrontarmi di persona. Io ti aspet-terò nella Foresta Proibita. Se entro un'ora non ti sarai consegnato a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry Pot-ter, e ti troverò e punirò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nasconderti a me. Un'ora».

Ron e Hermione scossero il capo freneticamente, guardando Harry.

«Non ascoltarlo» disse Ron.

«Andrà tutto bene» soggiunse Hermione, agitata. «Adesso... adesso tor-niamo al castello, se è andato nella Foresta dovremo pensare a un altro pi-ano...»

Rivolse uno sguardo al corpo di Piton, poi corse verso l'entrata del cuni-colo. Ron la seguì. Harry raccolse il Mantello dell'Invisibilità, poi guardò Piton. Non sapeva che cosa provare, se non orrore per il modo in cui era stato ucciso e per il motivo...

Tornarono indietro strisciando lungo il tunnel, senza parlare. Chissà se Ron e Hermione sentivano ancora Voldemort risuonare nella testa come lo sentiva lui.

Tu hai consentito che i tuoi amici morissero per te piuttosto che affron-tarmi di persona. Io ti aspetterò nella Foresta Proibita... un'ora...

Piccoli fagotti erano sparsi sul prato davanti al castello. Doveva mancare poco più di un'ora all'alba, ma era ancora buio pesto. I tre amici corsero verso i gradini di pietra. Uno zoccolo solitario, grande come una barca a remi, giaceva abbandonato davanti a loro. Non c'erano altre tracce di Grop

o del suo aggressore.

Il castello era immerso in un silenzio innaturale. Niente lampi, esplosio-ni, urla o strilli. Le lastre di pietra della Sala d'Ingresso erano macchiate di sangue. Gli smeraldi erano ancora sparpagliati ovunque insieme a pezzi di marmo e schegge di legno. Parte della balconata era stata spazzata via.

«Dove sono tutti?» sussurrò Hermione.

Ron fece strada verso la Sala Grande. Harry si fermò sulla soglia.

I tavoli delle Case erano spariti e la Sala era affollata. I sopravvissuti e-rano a gruppetti e si abbracciavano. Madama Chips e un gruppo di volon-tari curavano i feriti sulla pedana in fondo. Tra questi c'era Fiorenzo; per-deva sangue dal fianco e tremava, disteso a terra, incapace di alzarsi.

I morti erano disposti in fila al centro della Sala. Harry non vedeva il corpo di Fred, perché era circondato dalla sua famiglia. George era ingi-nocchiato vicino alla testa; la signora Weasley era accasciata sul petto del figlio, scossa dai singhiozzi. Il signor Weasley le accarezzava i capelli e aveva le guance inondate di lacrime.

Senza dire una parola, Hermione andò da Ginny, che aveva il volto gon-fio e arrossato, per abbracciarla; Ron raggiunse Bill, Fleur e Percy, che gli gettò un braccio attorno alle spalle. Ginny e Hermione si avvicinarono al resto della famiglia e Harry vide i corpi distesi accanto a quello di Fred: Remus e Tonks, pallidi e immobili, sembravano tranquilli, addormentati sotto il buio soffitto incantato.

La Sala Grande parve volar via, rimpicciolire, restringersi. Harry indie-treggiò oltre la soglia. Non riusciva a respirare. Non ce la faceva a guarda-re gli altri cadaveri, a scoprire chi altri era morto per lui. Non riusciva a u-nirsi ai Weasley, a guardarli negli occhi: se si fosse consegnato subito, Fred forse non sarebbe morto...

Si voltò e corse su per la scalinata di marmo. Lupin, Tonks... avrebbe preferito non provare nulla... potersi strappar via il cuore, le viscere, tutto ciò che urlava dentro di lui...

Il castello era vuoto; anche i fantasmi si erano mescolati alla folla in lut-to nella Sala Grande. Harry corse senza fermarsi, stringendo la fiala di cri-stallo che conteneva gli ultimi pensieri di Piton, e non rallentò finché non fu davanti al gargoyle di pietra a guardia dello studio del Preside.

«Parola d'ordine?»

«Silente!» rispose senza riflettere, perché era lui che voleva vedere, e con sua sorpresa il gargoyle scivolò di lato, rivelando la scala a chiocciola.

Ma quando Harry irruppe nella stanza circolare, vide che qualcosa era

cambiato. I ritratti appesi alle pareti erano vuoti. Non un solo preside era rimasto; evidentemente erano corsi tutti via, attraverso i quadri che tappez-zavano il castello, per assistere da vicino agli eventi.

Harry guardò disperato la cornice vuota del ritratto di Silente, appesa dietro la sedia del Preside, poi le voltò le spalle. Il Pensatoio di pietra era al suo posto nell'armadio: Harry lo trasportò sulla scrivania e versò i ricor-di di Piton nel grande bacile con le rune incise attorno al bordo. Fuggire nella testa di qualcun altro sarebbe stato un sollievo... nemmeno i pensieri di Piton potevano essere peggio dei suoi. I ricordi vorticarono, bianchi, ar-gentei, strani, e senza esitare, con un sentimento di disperato abbandono, come se così potesse placare il dolore che lo torturava, Harry vi si immer-se.

Cadde lungo disteso nella luce del sole, su un suolo tiepido. Quando si mise in piedi, scoprì che si trovava in un parco giochi quasi deserto. Un'e-norme ciminiera dominava l'orizzonte. Due bambine si dondolavano sulle altalene e un ragazzino magro le osservava da dietro un gruppo di cespugli. Aveva i capelli neri troppo lunghi e abiti così male assortiti che sembrava fatto di proposito: jeans troppo corti, un cappotto logoro e troppo grande che avrebbe potuto appartenere a un adulto, una strana camicia simile a un grembiule.

Harry si avvicinò al ragazzo. Piton non doveva avere più di nove o dieci anni, giallastro, piccolo, nervoso. Sul suo volto magro si leggeva chiara-mente il desiderio con cui guardava la più piccola delle due bambine don-dolare sempre più in alto, molto di più della sorella.

«Lily, non farlo!» strillò la maggiore.

Ma la bambina, arrivata nel punto più alto dell'arco, si lanciò a volo, quasi letteralmente a volo, si gettò verso il cielo con uno scoppio di risate e, invece di precipitare sull'asfalto del parco giochi, si librò nell'aria come una trapezista e vi indugiò troppo a lungo, e atterrò con troppa leggerezza.

«La mamma ti ha detto di non farlo!»

Petunia fermò l'altalena piantando i talloni dei sandali a terra con uno scricchiolio, poi balzò in piedi, le mani sui fianchi.

«La mamma ha detto che non puoi, Lily!»

«Ma non mi sono fatta niente» ribatté Lily, che ancora rideva. «Tunia, guarda. Guarda cosa so fare».

Petunia si guardò intorno. Il parco giochi era deserto a parte loro e, an-che se le bambine non lo sapevano, Piton. Lily raccolse un fiore caduto dal cespuglio dietro il quale era nascosto Piton. Petunia si avvicinò, dibattuta

tra la curiosità e la disapprovazione. Lily aspettò che la sorella guardasse bene, poi tese la mano aperta. Il fiore apriva e chiudeva i petali come una bizzarra ostrica con molte valve.

«Smettila!» strillò Petunia.

«Mica ti fa del male» obiettò Lily, ma poi chiuse la mano sul bocciolo e lo gettò di nuovo a terra.

«Non è giusto» protestò Petunia, ma il suo sguardo aveva seguito la ca-duta del fiore a terra e vi indugiava. «Come fai?» domandò, con un chiaro tono di desiderio.

«È ovvio, no?» Piton non riuscì più a trattenersi e balzò fuori dai cespu-gli. Petunia strillò e tornò di corsa alle altalene, ma Lily, per quanto allar-mata, rimase dov'era. Piton parve pentirsi di essere uscito allo scoperto. Un cupo rossore invase le sue guance giallognole.

«Che cosa è ovvio?» chiese Lily.

Piton era agitato. Scoccò un'occhiata a Petunia che gironzolava vicino alle altalene, poi abbassò la voce e disse: «Io so cosa sei».

«Cioè?»

«Tu sei... sei una strega» sussurrò Piton.

Lei parve offesa.

«Non è una cosa carina da dire!»

Si voltò, il naso per aria, e si allontanò a grandi passi verso la sorella.

«No!» esclamò Piton. Ormai era paonazzo, e Harry si chiese come mai non si toglieva quel cappotto, sproporzionato e ridicolo, a meno che non fosse per nascondere la camiciola di sotto. Saltellò dietro le bambine, co-me la caricatura di un pipistrello, o di se stesso da adulto.

Le sorelle lo osservarono, unite nel disprezzo, tutt'e due aggrappate a uno dei pali dell'altalena come se fosse la tana in una partita di chiapparel-lo.

«Lo sei» insisté Piton. «Sei una strega. È un po' che ti tengo d'occhio. Ma non c'è niente di male. Anche mia mamma è una strega, e io sono un mago».

La risata di Petunia fu come una doccia fredda.

«Un mago!» strillò, rinfrancata dopo lo spavento per l'improvvisa appa-rizione. «Io so benissimo chi sei. Sei il figlio dei Piton! Abitano giù a Spinner's End, vicino al fiume» spiegò a Lily, e dal suo tono si capiva che trovava l'indirizzo poco raccomandabile. «Perché ci stai spiando?»

«Non vi spio» rispose Piton, in pieno sole, accaldato, a disagio, con i ca-pelli sporchi. «Non te, comunque» aggiunse sprezzante. «Tu sei una Bab-

bana».

Anche se Petunia non capiva la parola, non poteva fraintendere il tono.

«Lily, su, andiamo via!» esclamò. Lily obbedì immediatamente alla so-rella e si allontanò, scrutando torva Piton. Lui le guardò attraversare il par-co giochi, e Harry, il solo rimasto a osservarlo, ne riconobbe l'amara delu-sione, capì che era da molto che aspettava quel momento e che era andato tutto storto...

La scena si dissolse e in un attimo si riformò. Adesso si trovava in un boschetto. Vide un fiume scintillare al sole che filtrava fra i tronchi. Gli alberi proiettavano sull'erba una pozza di fresca ombra verde. Due bambini erano seduti per terra a gambe incrociate, una di fronte all'altro. Piton si era tolto il cappotto; la sua strana camicia sembrava meno assurda in quel-la penombra.

«... e il Ministero può punirti se fai magie fuori dalla scuola, ti mandano delle lettere».

«Ma io le ho fatte!»

«Noi siamo a posto. Non abbiamo ancora la bacchetta. Ti lasciano stare, quando sei un bambino e non puoi farci niente. Ma a undici anni» e annuì con aria d'importanza «cominciano a istruirti, e allora devi stare attento».

Calò un breve silenzio. Lily raccolse un bastoncino e lo agitò, e Harry capì che immaginava di vederne uscire una pioggia di scintille. Poi lo la-sciò cadere, si sporse verso Piton e chiese: «È vero, no? Non è uno scher-zo? Petunia dice che mi racconti delle bugie. Dice che Hogwarts non esi-ste. È proprio vero?»

«È vero per noi» rispose Piton. «Non per lei. Ma noi riceveremo la lette-ra, io e te».

«Sul serio?» mormorò Lily.

«Certo» confermò Piton, e persino con i capelli tagliati male e i vestiti balordi era stranamente solenne, seduto davanti a lei, fiducioso nel proprio destino.

«E arriverà davvero con un gufo?» mormorò Lily.

«Di solito» rispose Piton. «Ma tu sei figlia di Babbani, quindi dovrà ve-nire qualcuno della scuola a spiegarlo ai tuoi genitori».

«È diverso se si è figli di Babbani?»

Piton esitò. I suoi occhi neri, colmi di entusiasmo nella penombra verda-stra, si spostarono sul volto pallido, sui capelli rosso scuro di lei.

«No» dichiarò infine. «Non è diverso».

«Meno male» sospirò Lily, tranquillizzata: era chiaro che prima era un

po' preoccupata.

«Tu hai un sacco di magia» continuò Piton. «L'ho visto. Ti guardavo sempre...»

La sua voce si affievolì; Lily non stava ascoltando, ma si era distesa sul terreno coperto di foglie e osservava la volta di rami sopra di loro. Lui la studiava con lo stesso desiderio di quando la spiava nel parco giochi.

«Come vanno le cose a casa tua?» gli chiese lei.

Una piccola piega apparve fra gli occhi di Piton.

«Bene» rispose.

«Non litigano più?»

«Oh, sì, litigano» ribatté Piton. Raccolse un pugno di foglie e cominciò a strapparle, soprappensiero. «Ma fra poco me ne andrò».

«A tuo papà non piace la magia?»

«Non gli piace praticamente niente» rispose Piton.

«Severus».

Un piccolo sorriso incurvò le labbra di Piton quando lei disse il suo no-me.

«Sì?»

«Parlami ancora dei Dissennatori».

«Perché?»

«Se uso la magia fuori dalla scuola...»

«Non ti danno ai Dissennatori per questo! I Dissennatori sono per chi fa cose veramente brutte. Sono le guardie della prigione magica, Azkaban. Tu non puoi finire ad Azkaban, sei troppo...»

Arrossì di nuovo e strappò altre foglie. Poi un fruscio alle spalle di Harry lo costrinse a voltarsi: Petunia, nascosta dietro un albero, aveva perso l'e-quilibrio.

«Tunia!» esclamò Lily, sorpresa e lieta insieme. Ma Piton balzò in piedi.

«Chi è adesso che spia?» gridò. «Cosa vuoi?»

Petunia era senza fiato, spaventata per essere stata scoperta. Harry vide che cercava qualcosa di perfido da dire.

«Che cos'è che hai addosso?» chiese infine, indicando il petto di Piton. «La camicetta di tua mamma?»

Si udì un crac: un ramo sopra la testa di Petunia cadde. Lily urlò: il ramo colpì sulla spalla Petunia, che barcollò all'indietro e scoppiò in lacrime.

«Tunia!»

Ma la sorella stava scappando. Lily si voltò verso Piton.

«Sei stato tu?»

«No». Era insolente e spaventato insieme.

«Sì, invece!» Lei indietreggiò. «Sei stato tu! Le hai fatto male!»

«No... no, non sono stato io...»

Ma la bugia non convinse Lily: con un ultimo sguardo di fuoco corse vi-a, dietro la sorella, e Piton rimase lì, desolato e confuso...

E la scena si riformò. Harry si guardò intorno: Piton era davanti a lui, sul binario nove e tre quarti, un po' curvo, vicino a una donna magra, dal viso giallastro e acido, che gli assomigliava moltissimo. Piton fissava una fami-glia di quattro persone poco lontano. Le due ragazze si erano lievemente allontanate dai genitori. Lily stava supplicando la sorella; Harry si avvici-nò per ascoltare.

«... mi dispiace, Tunia, mi dispiace! Ascolta...» Le prese la mano e la strinse forte, anche se Petunia cercava di sottrarla.

«Forse quando sarò là... no, ascolta, Tunia! Forse quando sarò là riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare idea!»

«Io non... voglio... venirci!» esclamò Petunia, tirando la mano. «Tu credi che io voglia andare in uno stupido castello per imparare a essere una... una...»

I suoi occhi sbiaditi vagarono sul marciapiede, sui gatti che miagolavano tra le braccia dei proprietari, sui gufi che sbattevano le ali e gridavano l'u-no all'altro dalle gabbie, sugli studenti, alcuni già nelle lunghe divise nere, che caricavano i bauli sul treno a vapore rosso o si salutavano con grida di gioia dopo un'estate di separazione.

«... credi che io voglia essere un... un mostro?»

Gli occhi di Lily si riempirono di lacrime e Petunia riuscì a liberare la mano.

«Io non sono un mostro» pianse. «È una cosa orribile da dire».

«È là che stai andando» ribatté Petunia compiaciuta. «In una scuola spe-ciale per mostri. Tu e quel Piton... due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla gente normale. Per la nostra sicurezza».

Lily guardò i genitori, che contemplavano con sincero piacere tutto quel-lo che succedeva attorno al binario. Poi si rivolse alla sorella e parlò con voce bassa e rabbiosa.

«Non pensavi che fosse una scuola per mostri quando hai scritto al Pre-side per supplicarlo di ammetterti».

Petunia diventò paonazza.

«Supplicare? Io non l'ho supplicato!»

«Ho letto la sua risposta. Era molto gentile».

«Non dovevi...» sussurrò Petunia. «Era una cosa personale... come hai potuto...?»

Lily si tradì rivolgendo un mezzo sguardo a Piton. Petunia boccheggiò.

«L'ha trovata quel ragazzo! Siete entrati di nascosto in camera mia!»

«No... non di nascosto...» Adesso Lily era sulla difensiva. «Severus ha visto la busta e non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts, tutto qui! Dice che alle poste devono esserci dei maghi che lavorano in incognito per...»

«A quanto pare i maghi ficcano il naso dappertutto!» esclamò Petunia, pallida quanto era stata rossa poco prima. «Mostro!» E si precipitò dai ge-nitori...

La scena sfumò di nuovo. Piton correva lungo il corridoio dell'Espresso per Hogwarts, che sferragliava attraverso la campagna. Si era già cambiato e indossava la divisa: la prima occasione per liberarsi di quegli orrendi abi-ti Babbani. Finalmente si fermò, fuori da uno scompartimento in cui alcuni ragazzi chiassosi stavano chiacchierando. Rannicchiata nell'angolo vicino alla finestra c'era Lily, il volto premuto contro il vetro.

Piton aprì la porta dello scompartimento e si sedette di fronte a lei. Lily gli gettò un'occhiata e poi tornò a guardare fuori. Aveva pianto.

«Non voglio parlare con te» mormorò con voce soffocata.

«Perché?»

«Tunia mi... mi odia. Perché abbiamo letto la lettera di Silente».

«E allora?»

Lo guardò con profonda avversione.

«Allora è mia sorella!»

«È solo una...» Riuscì a trattenersi; Lily, troppo impegnata ad asciugarsi gli occhi senza farsi notare, non lo sentì.

«Ma ci stiamo andando!» esclamò lui, incapace di trattenere la gioia. «Ci siamo! Stiamo andando a Hogwarts!»

Lei annuì, stropicciandosi gli occhi, e quasi suo malgrado sorrise.

«Speriamo che tu sia una Serpeverde» continuò Piton, rinfrancato.

«Serpeverde?»

Uno dei ragazzi nello scompartimento, che fino a quel momento non a-veva mostrato alcun interesse per Lily o Piton, a quella parola si voltò, e Harry, che si era concentrato sui due accanto al finestrino, riconobbe suo padre: smilzo, con i capelli neri come Piton, ma con quell'aria indefinibile di chi è stato molto curato, perfino adorato, di cui Piton era così vistosa-mente privo.

«Chi vuole diventare un Serpeverde? Io credo che lascerei la scuola, e tu?» chiese James al ragazzo mollemente abbandonato sul sedile di fronte al suo, e con un sussulto Harry si rese conto che era Sirius, che non sorrise.

«Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde» rispose.

«Oh, cavolo» commentò James. «E dire che mi sembravi a posto!»

Sirius ghignò.

«Forse io andrò contro la tradizione. Dove vorresti finire, se potessi sce-gliere?»

James alzò una spada invisibile.

«'Grifondoro... culla dei coraggiosi di cuore!' Come mio padre».

Piton fece un verso sprezzante. James si girò verso di lui.

«Qualcosa che non va?»

«No» rispose Piton, ma il suo lieve ghigno diceva il contrario. «Se prefe-risci i muscoli al cervello...»

«E tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due?» interven-ne Sirius.

James scoppiò in una risata fragorosa. Lily si raddrizzò nel sedile, ner-vosa, e guardò prima James poi Sirius, disgustata.

«Andiamo, Severus, cerchiamo un altro scompartimento».

«Ooooooooh...»

James e Sirius imitarono la sua voce altezzosa; James cercò di fare lo sgambetto a Piton.

«Ci si vede, Mocciosus!» gridò qualcuno quando la porta dello scompar-timento si chiuse...

E la scena ancora una volta svanì...

Harry era alle spalle di Piton, davanti ai tavoli delle Case, illuminati dal-le candele, attorniati da volti rapiti. Poi la professoressa McGranitt chiamò: «Evans, Lily!»

Guardò sua madre camminare con le gambe incerte e sedersi sullo sga-bello traballante. La professoressa McGranitt le mise in testa il Cappello Parlante e, un secondo dopo essersi posato sulla chioma rosso scuro, il Cappello gridò: «Grifondoro!»

Harry sentì Piton emettere un flebile gemito. Lily si tolse il Cappello, lo diede alla professoressa McGranitt, poi corse verso i Grifondoro esultanti, ma a metà strada si girò e rivolse a Piton un rapido sguardo e un sorrisino triste. Harry vide Sirius farle posto sulla panca. Lei lo guardò, lo riconob-be, incrociò le braccia e gli voltò le spalle con decisione.

L'appello riprese. Harry guardò suo padre, Lupin e Minus unirsi a Lily e

Sirius al tavolo di Grifondoro. Infine, quando restava solo una dozzina di studenti da Smistare, la professoressa McGranitt chiamò Piton.

Harry lo seguì allo sgabello e lo guardò mettersi in testa il Cappello. «Serpeverde!» gridò il Cappello Parlante.

E Severus Piton andò dall'altro lato della Sala, lontano da Lily, dove i Serpeverde lo accolsero con grida di tripudio, dove Lucius Malfoy, con una spilla da prefetto che brillava sulla veste, gli diede una pacca sulla schiena e lo fece sedere accanto a sé...

E la scena mutò...

Lily e Piton passeggiavano nel cortile del castello, litigando. Harry acce-lerò il passo per riuscire ad ascoltare. Quando li raggiunse si rese conto che erano molto più alti: erano passati alcuni anni dallo Smistamento.

«... credevo che fossimo amici!» si stava lamentando Piton. «Credevo di essere il tuo migliore amico!»

«Lo siamo, Sev, ma non mi piace la gente con cui vai in giro! Scusa, ma detesto Avery e Mulciber! Mulciber! Che cosa ci trovi in lui, Sev? Fa veni-re i brividi! Lo sai cos'ha cercato di fare a Mary Macdonald l'altro gior-no?»

Lily raggiunse una colonna e vi si appoggiò, fissando il volto affilato e giallastro dell'amico.

«Non era niente» disse Piton. «Era solo uno scherzo...»

«Era Magia Oscura, e se pensi che sia uno scherzo...»

«E quello che fanno Potter e i suoi amichetti?» ribatté Piton. Arrossì, in-capace di nascondere il risentimento.

«Cosa c'entra Potter?» chiese Lily.

«Escono di nascosto, di notte. Ha qualcosa di strano, quel Lupin. Dov'è che va sempre?»

«È malato» spiegò Lily. «Dicono che è malato...»

«Tutti i mesi con la luna piena?» domandò Piton.

«Conosco la tua teoria» replicò Lily, gelida. «Ma perché sei così fissato con loro? Che t'importa dove vanno di notte?»

«Sto solo cercando di farti capire che non sono meravigliosi come tutti pensano».

L'intensità del suo sguardo la fece avvampare.

«Ma non usano Magia Oscura». Lily abbassò la voce. «E tu sei un ingra-to. Ho sentito cos'è successo l'altra notte. Ti sei infilato in quel tunnel vici-no al Platano Picchiatore e James Potter ti ha salvato da quello che c'è là sotto, qualunque cosa sia...»

Il volto di Piton si contorse in una smorfia. Farfugliò: «Salvato? Salva-to? Credi che abbia fatto l'eroe? Stava salvando se stesso e anche i suoi amici! Tu non... io non ti permetterò...»

«Permettermi? Permettermi?»

Gli occhi verde chiaro di Lily erano ridotti a due fessure. Piton fece su-bito marcia indietro.

«Non volevo dire... è solo che non voglio che ti prendano in giro... gli piaci, tu piaci a James Potter!» Sembrava che le parole gli venissero strap-pate contro la sua volontà. «E non è... tutti pensano... il Grande Campione di Quidditch...» L'amarezza e il disgusto lo rendevano incoerente, e le so-pracciglia di Lily erano sempre più inarcate.

«So benissimo che James Potter è un arrogante» lo interruppe. «Non ho bisogno che me lo dica tu. Ma il modo di divertirsi di Mulciber e Avery è malvagio. Malvagio, Sev. Non capisco come fai a essere loro amico».

Harry non pensava che Piton avesse nemmeno sentito le sue critiche su Avery e Mulciber. Appena Lily aveva parlato male di James Potter, si era rilassato, e nel suo passo c'era una nuova baldanza...

La scena svanì...

Piton usciva dalla Sala Grande, dopo aver sostenuto l'esame di G.U.F.O. in Difesa contro le Arti Oscure, si allontanava dal castello e andava, so-prappensiero, verso la betulla sotto la quale erano seduti James, Sirius, Lu-pin e Minus. Ma Harry questa volta si tenne a distanza, perché sapeva che cosa era successo dopo che James aveva sollevato Severus a mezz'aria e lo aveva insultato; sapeva che cosa era successo e che cosa era stato detto e non aveva voglia di risentirlo. Vide Lily raggiungere il gruppo e difendere Piton. Da lontano udì Piton urlarle contro, umiliato e furente, le parole im-perdonabili: «Schifosa Mezzosangue».

La scena cambiò...

«Mi dispiace».

«Non mi interessa».

«Mi dispiace!»

«Risparmia il fiato».

Era notte. Lily, in vestaglia, era davanti al ritratto della Signora Grassa, a braccia incrociate, all'ingresso della Torre di Grifondoro.

«Sono uscita solo perché Mary mi ha detto che minacciavi di dormire qui».

«L'avrei fatto. Non volevo chiamarti schifosa Mezzosangue, mi è...»

«... scappato?» Non c'era pietà nel tono di Lily. «Troppo tardi. Ti ho giu-

stificato per anni. Nessuno dei miei amici riesce a capire come mai ti ri-volgo la parola. Tu e i tuoi cari Mangiamorte... vedi, non lo neghi nemme-no! Non neghi nemmeno quello che volete diventare! Non vedi l'ora di u-nirti a Tu-Sai-Chi, vero?»

Lui aprì la bocca, ma la richiuse senza aver parlato.

«Non posso più fingere. Tu hai scelto la tua strada, io la mia».

«No... senti, io non volevo...»

«... chiamarmi schifosa Mezzosangue? Ma chiami così tutti quelli come me, Severus. Perché io dovrei essere diversa?»

Piton stava per ribattere, ma con uno sguardo sprezzante lei si voltò e varcò il buco del ritratto...

Il corridoio sparì, e la scena impiegò un po' più di tempo per ridefinirsi: Harry volò tra forme e colori mutevoli finché i dintorni si solidificarono di nuovo, e si ritrovò su una collina desolata, fredda e buia, col vento che si-bilava tra i rami dei pochi alberi spogli. Piton adulto ansimava, voltandosi, la bacchetta stretta in mano, in attesa di qualcosa o qualcuno... la sua paura contagiò Harry: pur sapendo di non correre alcun rischio, si guardò indie-tro, chiedendosi che cosa stesse aspettando Piton...

Poi nell'aria balenò una luce bianca accecante e frastagliata: Harry pensò a un fulmine, ma Piton cadde in ginocchio e la bacchetta gli scivolò di ma-no.

«Non mi uccida!»

«Non era mia intenzione».

Il rumore della Materializzazione di Silente era stato coperto dall'ululato del vento tra i rami. Stava davanti a Piton, la veste svolazzante e il viso il-luminato dal basso dalla luce della bacchetta.

«Allora, Severus? Che messaggio ha Lord Voldemort per me?»

«Nessun... nessun messaggio... sono qui per conto mio!»

Piton si tormentava le mani: sembrava un folle, con i capelli neri che gli sventolavano in faccia.

«Io... io vengo con un avvertimento... no, una richiesta... la prego...»

Silente agitò la bacchetta. Foglie e rami continuarono ad agitarsi nella notte attorno a loro, ma dove loro due si fronteggiavano calò il silenzio.

«Quale richiesta potrebbe farmi un Mangiamorte?»

«La... la profezia... la predizione... la Cooman...»

«Ah, sì» fece Silente. «Quanto hai riferito a Lord Voldemort?»

«Tutto... tutto quello che ho sentito!» rispose Piton. «È per questo... è per questo motivo... lui pensa che sia Lily Evans!»

«La profezia non parla di una donna» obiettò Silente, «ma di un bambi-no maschio nato alla fine di luglio...»

«Sa cosa voglio dire! Lui pensa che si tratti di suo figlio, le darà la cac-cia... li ucciderà tutti...»

«Se lei è così importante per te» ribatté Silente, «Lord Voldemort la ri-sparmierà, no? Non puoi chiedere pietà per la madre in cambio del figlio?»

«Io ho... io gliel'ho chiesto...»

«Tu mi disgusti» commentò Silente, e Harry non aveva mai sentito tanto disprezzo nella sua voce. Piton parve rimpicciolire.

«Quindi non t'importa se suo marito e suo figlio muoiono? Possono mo-rire, purché tu ottenga ciò che desideri?»

Piton tacque, continuando a guardare Silente.

«Allora li nasconda tutti» gracchiò infine. «La metta... li metta al sicuro. La prego».

«E tu che cosa mi darai in cambio, Severus?»

«In... in cambio?» Piton guardò Silente a bocca aperta e Harry si aspet-tava che protestasse, ma dopo un lungo istante rispose: «Qualunque cosa».

La cima della collina svanì e Harry si ritrovò nello studio di Silente, e qualcosa o qualcuno esalava un lamento terribile, da animale ferito. Piton era chino in avanti su una sedia e Silente, in piedi accanto a lui, lo guarda-va cupo. Dopo qualche istante Piton alzò il viso: rispetto all'uomo sulla collina spazzata dal vento sembrava aver vissuto cento anni di dolore.

«Credevo... che lei... l'avrebbe... protetta...»

«Lei e James hanno riposto la loro fiducia nella persona sbagliata» os-servò Silente. «Più o meno come te, Severus. Non speravi che Lord Vol-demort la risparmiasse?»

Piton respirava appena.

«Suo figlio è sopravvissuto» aggiunse Silente.

Con uno scatto della testa, Piton parve scacciar via una mosca molesta.

«Suo figlio è vivo. Ha i suoi occhi, esattamente i suoi occhi. Ricordi la forma e il colore degli occhi di Lily Evans, non è vero?»

«No!» urlò Piton. «Perduta... morta...»

«È rimorso, Severus?»

«Vorrei... vorrei essere morto io...»

«E a che cosa sarebbe servito, e a chi?» ribatté Silente, gelido. «Se ama-vi Lily Evans, se davvero l'amavi, allora la tua strada è tracciata».

Piton sembrava guardarlo da dietro un velo di dolore e le parole di Silen-te impiegarono molto tempo a raggiungerlo.

«Cosa... cosa vuole dire?»

«Sai come e perché è morta. Fa' che non sia stato invano. Aiutami a pro-teggere il figlio di Lily».

«Non ha bisogno di protezione. Il Signore Oscuro se n'è andato...»

«... il Signore Oscuro tornerà e Harry Potter sarà in enorme pericolo...»

Dopo una lunga pausa, lentamente Piton riprese il controllo di sé e del proprio respiro. Alla fine parlò: «Molto bene. Molto bene. Ma non lo di-ca... non lo dica mai a nessuno, Silente! Deve restare fra noi! Non posso sopportare... soprattutto il figlio di Potter... voglio la sua parola!»

«Vuoi la mia parola, Severus, che non rivelerò mai la parte migliore di te?» Silente sospirò, guardando il volto feroce e addolorato di Piton. «Se proprio insisti...»

Lo studio si dissolse ma si riformò all'istante. Piton lo misurava a grandi passi davanti a Silente.

«... mediocre, arrogante come suo padre, ribelle a ogni regola, compia-ciuto di scoprirsi famoso, avido di attenzione e impertinente...»

«Tu vedi quello che vuoi vedere, Severus» replicò Silente, senza alzare lo sguardo da Trasfigurazione Oggi. «Altri insegnanti mi dicono che è modesto, piacevole e dotato di un certo talento. Personalmente lo trovo un ottimo ragazzo».

Silente girò una pagina e aggiunse, sempre senza guardarlo: «Tieni d'oc-chio Raptor, d'accordo?»

Un vortice di colore, poi tutto si fece buio: Piton e Silente erano nella Sala d'Ingresso, un po' appartati, e gli ultimi tiratardi del Ballo del Ceppo sfilavano davanti a loro, diretti ai dormitori.

«Allora?» mormorò Silente.

«Anche il Marchio di Karkaroff sta diventando scuro. È terrorizzato, te-me una vendetta; sai quanto ha collaborato col Ministero dopo la caduta del Signore Oscuro». Piton guardò di sghembo il profilo irregolare di Si-lente. «Karkaroff vuole fuggire se il Marchio si accende».

«Davvero?» sussurrò Silente, mentre Fleur Delacour e Roger Davies rientravano dal parco ridacchiando. «E tu sei tentato di fare lo stesso?»

«No» rispose Piton, gli occhi neri puntati su Fleur e Roger che si allon-tanavano. «Non sono così vigliacco».

«No» convenne Silente. «Sei un uomo molto più coraggioso di Igor Karkaroff. Sai, a volte credo che lo Smistamento avvenga troppo presto...»

Si allontanò, lasciando Piton basito...

E Harry si ritrovò di nuovo nello studio del Preside. Era notte e Silente

era afflosciato su un bracciolo della poltrona simile a un trono dietro la scrivania, semisvenuto. La mano destra gli penzolava lungo il fianco, nera e bruciata. Piton borbottava incantesimi, puntando la bacchetta verso il polso ferito, mentre con la sinistra versava in gola a Silente un calice col-mo di una densa pozione dorata. Dopo qualche istante, le palpebre di Si-lente tremarono e si aprirono.

«Perché» chiese Piton senza preamboli, «perché ti sei messo quell'anel-lo? Contiene una maledizione, sono sicuro che lo sapevi. Perché ti sei az-zardato anche solo a toccarlo?»

Sulla scrivania davanti a Silente c'era l'anello di Orvoloson Gaunt. Era spezzato; accanto, la spada di Grifondoro.

Silente fece una smorfia.

«Io... sono stato uno sciocco. Terribilmente tentato...»

«Tentato da cosa?»

Silente non rispose.

«È un miracolo che tu sia riuscito a tornare qui!» Piton era furibondo. «Quell'anello conteneva una maledizione di straordinaria potenza e pos-siamo solo sperare di limitarne il danno; l'ho circoscritta a una sola mano, per il momento...»

Silente alzò la mano nera e inutile, e la osservò come fosse un'interes-sante rarità.

«Ottimo lavoro, Severus. Quanto tempo credi che mi resti?»

Il tono di Silente era tranquillissimo; sembrava che si informasse sulle previsioni meteo. Piton esitò, poi rispose: «Non lo so. Forse un anno. Non c'è modo di bloccare per sempre un incantesimo del genere. Si diffonderà, alla fine, è il tipo di maledizione che si rafforza col tempo».

Silente sorrise. La notizia che aveva meno di un anno di vita sembrava una faccenda di scarsissimo o nessun interesse.

«Sono fortunato, molto fortunato, ad avere te, Severus».

«Se solo mi avessi mandato a chiamare prima, forse avrei potuto fare di più, guadagnare più tempo!» esclamò Piton, furioso. Guardò l'anello spez-zato e la spada. «Credevi che spezzando l'anello avresti infranto la maledi-zione?»

«Qualcosa del genere... deliravo, non c'è dubbio...» rispose Silente. Con uno sforzo, si raddrizzò nella poltrona. «Be', insomma, questo rende le co-se molto più semplici».

Piton parve decisamente perplesso. Silente sorrise.

«Mi riferisco ai progetti di Lord Voldemort su di me. Il suo piano di

farmi uccidere da quel povero giovane Malfoy».

Piton si sedette sulla sedia che Harry aveva occupato tanto spesso, al di là della scrivania, di fronte a Silente. Harry capì che voleva parlare ancora della mano maledetta del Preside, ma quest'ultimo la alzò in un garbato ri-fiuto di discuterne oltre. Accigliato, Piton osservò: «Il Signore Oscuro non si aspetta che Draco ci riesca. È solo una punizione per i recenti insuccessi di Lucius. Una lenta tortura per i genitori di Draco, che lo guarderanno fal-lire e pagare per questo».

«In breve, il ragazzo ha sul capo una sentenza di morte sicura quanto la mia» commentò Silente. «Ora, suppongo che il naturale erede del compito, quando Draco avrà fallito, debba essere tu».

Una breve pausa.

«Credo che questo sia il piano del Signore Oscuro».

«Lord Voldemort prevede un momento nel prossimo futuro in cui non avrà bisogno di una spia a Hogwarts?»

«Lui è convinto che presto la scuola sarà nelle sue mani, sì».

«E se effettivamente vi cade» proseguì Silente, quasi come se fosse un dettaglio di scarsa rilevanza, «ho la tua parola che farai tutto ciò che è in tuo potere per proteggere gli studenti di Hogwarts?»

Piton rispose con un rigido cenno di assenso.

«Bene. Allora. La tua priorità è scoprire cosa sta facendo Draco. Un ra-gazzino spaventato è un pericolo per sé e per gli altri. Offrigli il tuo aiuto e la tua guida, dovrebbe accettare, tu gli piaci...»

«... molto meno da quando suo padre non è più nelle grazie del Signore Oscuro. Draco attribuisce la colpa a me, crede che io abbia usurpato la po-sizione di Lucius».

«Comunque devi tentare. Sono meno preoccupato per me stesso che per le vittime accidentali dei piani che potrebbe architettare il ragazzo. In defi-nitiva, c'è una sola cosa da fare, se vogliamo salvarlo dall'ira di Lord Vol-demort».

Piton inarcò le sopracciglia e chiese, in tono sardonico: «Vuoi lasciare che ti uccida?»

«Certo che no. Devi uccidermi tu».

Calò un lungo silenzio, interrotto solo da uno strano ticchettio. Fanny la fenice stava becchettando un osso di seppia.

«Vuoi che lo faccia subito?» chiese Piton, ironico. «O hai bisogno di qualche istante per comporre il tuo epitaffio?»

«Oh, non ancora» sorrise Silente. «Oserei dire che il momento giusto si

rivelerà a tempo debito. Considerando quanto è successo stanotte» e indicò la propria mano raggrinzita, «possiamo essere certi che accadrà entro un anno».

«Se non ti importa di morire» insisté Piton con durezza, «perché non la-sci che sia Draco a ucciderti?»

«L'anima di quel ragazzo non è ancora così guastata» spiegò Silente. «Non voglio che si spezzi per colpa mia».

«E la mia anima, Silente? La mia?»

«Tu solo sai se evitare a un vecchio sofferenza e umiliazione sarà un danno per la tua anima» replicò Silente. «Ti chiedo questo grandissimo fa-vore, Severus, perché la mia morte si avvicina, quanto è certo che i Can-noni di Chudley quest'anno finiranno ultimi in classifica. Ti dirò che prefe-risco una dipartita rapida e indolore all'operazione lunga e cruenta che ri-sulterebbe se, per esempio, se ne occupasse Fenrir Greyback... ho sentito che Voldemort l'ha reclutato. O la cara Bellatrix, a cui piace giocare col cibo prima di mangiarlo».

Il suo tono era leggero ma i suoi occhi azzurri trafiggevano Piton come spesso avevano fatto con Harry, come se vedessero l'anima di cui stavano discutendo. Infine Piton annuì di nuovo.

Silente parve soddisfatto.

«Grazie, Severus...»

L'ufficio scomparve. Piton e Silente passeggiavano insieme nel parco deserto del castello, al crepuscolo.

«Che cosa fate tu e Potter, tutte quelle sere che vi rinchiudete insieme?» chiese all'improvviso Piton.

Silente sembrava stanco.

«Perché? Non vorrai infliggergli altre punizioni, Piton? Tra poco quel ragazzo passerà più tempo in castigo che fuori».

«È tutto suo padre...»

«Nell'aspetto, forse, ma la sua natura profonda è più simile a quella di sua madre. Trascorro del tempo con Harry perché ho faccende di cui devo parlare con lui, informazioni che gli devo passare prima che sia troppo tar-di».

«Informazioni» ripeté Piton. «Ti fidi di lui... e non di me».

«Non è questione di fiducia. Come entrambi sappiamo, ho pochissimo tempo. È fondamentale che trasmetta al ragazzo abbastanza indicazioni perché possa fare quello che deve».

«E perché io non posso avere le stesse indicazioni?»

«Preferisco non affidare tutti i miei segreti a una sola persona, soprattut-to non a una che trascorre tanto tempo accanto a Lord Voldemort».

«Lo faccio su tuo ordine!»

«E lo fai molto bene. Non credere che sottovaluti il pericolo costante a cui ti esponi, Severus. Passare a Voldemort quelle che sembrano informa-zioni preziose nascondendo l'essenziale è un compito che non affiderei a nessun altro che a te».

«Eppure confidi molto di più a un ragazzo incapace in Occlumanzia, la cui magia è mediocre e che ha un legame diretto con la mente del Signore Oscuro!»

«Voldemort teme quel legame» ribatté Silente. «Non molto tempo fa ha avuto un piccolo assaggio di cosa significa per lui condividere la mente di Harry. Un dolore che non aveva mai provato. Non cercherà ancora di pos-sedere Harry, ne sono certo. Non in quel modo».

«Non capisco».

«L'anima di Lord Voldemort, mutilata com'è, non sopporta un contatto stretto con un'anima come quella di Harry. Come una lingua sull'acciaio ghiacciato, come la carne nel fuoco...»

«Anime? Stavamo parlando di menti!»

«Nel caso di Harry e Lord Voldemort, parlare di una è parlare dell'altra».

Silente si guardò intorno per controllare che fossero soli. Erano ormai vicini alla Foresta Proibita, ma non c'era nessuno.

«Dopo che mi avrai ucciso, Severus...»

«Tu rifiuti di dirmi tutto, ma ti aspetti da me quel favore da nulla!» sibi-lò Piton, e il volto scarno si accese di una rabbia palpabile. «Dai molto per scontato, Silente! Forse ho cambiato idea!»

«Mi hai dato la tua parola, Severus. E già che stiamo parlando dei favori che mi devi, mi pareva che tu avessi promesso di tenere d'occhio il tuo giovane amico Serpeverde...»

Piton era furente, astioso. Silente sospirò.

«Vieni nel mio studio stanotte, Severus, alle undici, e non ti lamenterai più che non ho fiducia in te...»

Erano di nuovo nello studio di Silente, le finestre buie, Fanny silenziosa, e Piton sedeva immobile mentre Silente parlava camminando attorno a lui.

«Harry non deve sapere, fino all'ultimo, finché non sarà necessario, al-trimenti come potrebbe avere la forza di fare ciò che deve essere fatto?»

«Ma cosa deve fare?»

«Questo resta fra me e lui. Adesso ascoltami bene, Severus. Verrà il

momento, dopo la mia morte... non discutere, non interrompermi! Verrà il momento in cui Lord Voldemort temerà per la vita del suo serpente».

«Nagini?» Piton era esterrefatto.

«Precisamente. Se Lord Voldemort cesserà di mandare Nagini a eseguire i suoi ordini, ma la terrà al sicuro accanto a sé, sotto protezione magica, al-lora credo che sarà bene dirlo a Harry».

«Dirgli cosa?»

Silente trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi.

«Dirgli che la notte che Lord Voldemort cercò di ucciderlo e Lily inter-pose la propria vita tra di loro come uno scudo, l'Anatema che Uccide gli rimbalzò addosso: un frammento dell'anima di Voldemort fu violentemen-te separato e si agganciò alla sola anima vivente rimasta nella casa che crollava. Parte di Lord Voldemort vive dentro Harry, ed è questa che gli dà il potere di parlare con i serpenti e un legame con la mente di Voldemort che non ha mai compreso. E finché quel frammento di anima, di cui Vol-demort non sente la mancanza, resta aggrappato a Harry e da lui protetto, Lord Voldemort non può morire».

A Harry parve di osservare i due uomini dall'estremità di un lungo tun-nel: erano lontanissimi e le loro voci echeggiavano in modo bizzarro nelle sue orecchie.

«Quindi il ragazzo... il ragazzo deve morire?» chiese Piton, tranquillo.

«E deve ucciderlo Voldemort in persona, Severus. Questo è fondamenta-le».

Un altro lungo silenzio. Poi Piton riprese: «Credevo... in tutti questi an-ni... che lo proteggessimo per lei. Per Lily».

«L'abbiamo protetto perché era essenziale dargli un'istruzione, crescerlo, fargli mettere alla prova le proprie forze» spiegò Silente, sempre a occhi chiusi. «Nel frattempo il legame tra i due diventa sempre più forte, una crescita parassitica: a volte ho pensato che lui stesso lo sospetti. Se lo co-nosco, avrà fatto di tutto perché, quando deciderà di andare incontro alla morte, questa sia davvero la fine di Voldemort».

Silente aprì gli occhi. Piton era sconvolto.

«L'hai tenuto in vita perché possa morire al momento giusto?»

«Non esserne stupito, Severus. Quanti uomini e donne hai visto mori-re?»

«Di recente, solo quelli che non sono riuscito a salvare» rispose Piton. Si alzò. «Tu mi hai usato».

«Sarebbe a dire?»

«Ho fatto la spia per te, ho mentito per te, ho corso rischi mortali per te. Credevo che servisse a proteggere il figlio di Lily Potter. Adesso mi dici che l'hai allevato come una bestia da macello...»

«Ma è commovente, Severus» osservò Silente, serio. «Ti sei affezionato al ragazzo, dopotutto?»

«A lui?» urlò Piton. «Expecto Patronum!»

Dalla punta della sua bacchetta affiorò la cerva d'argento: atterrò sul pa-vimento dell'ufficio, fece un balzo e si tuffò fuori dalla finestra. Silente la guardò volar via e quando il suo bagliore argenteo svanì si rivolse a Piton, con gli occhi pieni di lacrime.

«Dopo tutto questo tempo?»

«Sempre» rispose Piton.

E la scena cambiò. Piton parlava col ritratto di Silente appeso dietro la sua scrivania.

«Devi riferire a Voldemort la data esatta della partenza di Harry da casa degli zii» disse Silente. «Non farlo susciterebbe dei sospetti, visto che Voldemort ti crede così bene informato. Tuttavia, devi dare a qualcuno l'i-dea dei sosia... ritengo che possa garantire a Harry l'incolumità. Prova a Confondere Mundungus Fletcher. E Severus, se sarai costretto a prendere parte all'inseguimento, vedi di recitare la tua parte in modo convincente... Ho bisogno che tu resti nelle grazie di Lord Voldemort il più a lungo pos-sibile, o Hogwarts sarà alla mercé dei Carrow...»

Ed ecco Piton in una taverna sconosciuta a confabulare con Mundungus, il cui volto era curiosamente privo di espressione, mentre quello di Piton era accigliato e concentrato.

«Devi suggerire all'Ordine della Fenice» mormorava «di usare dei sosia. Pozione Polisucco. Dei Potter identici. È l'unica soluzione. Dimenticherai che te l'ho suggerito io. La proporrai come idea tua. Chiaro?»

«Chiaro» ripeté Mundungus, lo sguardo smarrito...

E poi Harry volava accanto a Piton su un manico di scopa in una notte limpida: era accompagnato da altri Mangiamorte incappucciati e davanti a loro c'erano Lupin e un Harry che in verità era George... un Mangiamorte alzò la bacchetta e la puntò sulla schiena di Lupin...

«Sectumsempra!» urlò Piton.

Ma l'incantesimo diretto alla mano del Mangiamorte la mancò e colpì George...

Un attimo dopo, Piton era in ginocchio nella vecchia camera di Sirius. Stava leggendo la lettera di Lily e dalla punta del naso adunco gli colavano

lacrime. La seconda pagina recava solo poche parole:

possa mai essere stato amico di Gellert Grindelwald. Personalmente, sono convinta che stia perdendo il senno!

Con tantissimo affetto,

Lily

Piton prese la pagina con la firma di Lily e il suo affetto, e la infilò sotto la veste. Poi strappò in due la foto che aveva in mano e tenne per sé la me-tà in cui Lily rideva, gettando quella con James e Harry sul pavimento, sot-to il cassettone...

E Piton era di nuovo nello studio del Preside quando Phineas Nigellus entrò di corsa nel suo ritratto.

«Preside! Sono nella Foresta di Dean! La Nata Babbana...»

«Non usare quella parola!»

«... la Granger, allora, ha nominato il posto quando ha aperto la borsetta e io l'ho sentita!»

«Bene. Molto bene!» gridò il ritratto di Silente dietro la poltrona di Pi-ton. «Ora, Severus, la spada! Non dimenticare che dev'essere presa in con-dizioni di necessità e valore... e non deve sapere che sei tu a dargliela! Se Voldemort dovesse leggere la mente di Harry e scoprire che lo aiuti...»

«Lo so» rispose Piton asciutto. Si avvicinò al ritratto di Silente e tirò da un lato della cornice. Si aprì, rivelando una cavità nascosta, dalla quale prese la spada di Grifondoro.

«E ancora non mi vuoi dire perché è così importante dare la spada a Pot-ter?» chiese Piton, gettandosi addosso un mantello da viaggio.

«No, non credo» replicò il ritratto di Silente. «Lui saprà cosa farne. Se-verus, fai molta attenzione, potrebbero non apprezzare la tua comparsa do-po l'incidente a George Weasley...»

Piton si voltò sulla soglia.

«Non preoccuparti, Silente» ribatté, imperturbabile. «Ho un piano...»

E chiuse la porta. Harry uscì dal Pensatoio e qualche istante dopo era di-steso sul tappeto di quella stessa stanza: Piton poteva essere appena uscito.

10 luglio 2011

IO MI VERGOGNO!

Ieri é stato celebrato il funerale di mio Zio. C'era un sacerdote giovane al quale i miei zii hanno chiesto se potevo dire alcune parole dopo la messa perché gli ero molto legata. Volevo leggere alcuni versi dell'ode III, 30 di Orazio, sul valore di ciò che ognuno di noi lascia di sè dopo la morte (nemmeno tutta, solo i primi 9 versi). Mio Zio è stato un uomo grande, conosceva il latino come l'italiano, ha lavorato nella biblioteca della Camera dei deputati per più di 40 anni! E poi anche leggere un pensiero che ho scritto, poche righe di ringraziamento. Come ha visto Orazio ha detto che non era possibile farmelo leggere perché "io sono un servo di Cristo e se te lo facessi leggere lo tradirei, è pieno di mitologia"! Di mitologico c'era solo il nome di Libitina, la dea della morte (e, per metonimia, la morte stessa), perché serviva questo nome alla scansione del verso!



Traduzione dei versi che ho letto: Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo e più alto della struttura regale delle piramidi, che nè la pioggia corrosiva, nè il vento sfrenato, nè la serie infinita degli anni, nè la fuga del tempo possono distuggere. Non morirò del tutto, ma gran parte di me riuscirà a sfuggire a Libitina: io crescerò rinnovandomi di continuo nella gloria postuma, finchè il pontefice massimo con la vergine silenziosa salirà al Campidoglio.



(che cosa ho detto di così anti-cristiano vorrei proprio saperlo!)

Invece che una messa mi è sembrato uno show, cafone e coatto nel modo di esprimersi, senza un minimo di solennità per la circostanza. Io ero sconvolta! Poi durante l'omelia ha screditato l'amore di cui parlano i poeti (peraltro l'ode da me scelta non parlava di amore!!!) e ad un certo punto mi ha rimproverata davanti a tutti! Cose da pazzi! Cioè, sono lì in lacrime al funerale di mio zio, non mi fai nemmeno leggere 2 parole (poi a prescindere da ciò che ho scritto… che ti importa, dico io!). Ovviamente appena messo piede fuori dalla chiesa ho letto lo stesso ció che avrei voluto dire a mio Zio. Purtroppo non ho fatto in tempo a dirgli quelle cose di persona il giorno prima! Fatto sta che questo prete odioso oltre ad essere solo un pappagallo che vive dell'ideologia cristiana, cosa che chi vive una fede vera non puó sopportare, durante l'omelia ha citato Vasco (a sproposito!) e si è rivolto a noi tutti come uno scaricatore di porto senza il minimo rispetto! Per quel poco di senso religioso che c'è in Vasco ha anche sbagliato canzoni, se vogliamo dirla tutta! Va bene che io sono abituata a sacerdoti che nelle loro omelie citano spesso Sant'Agostino, Leopardi, Platone…. ma lui mi è sembrato parecchio inopportuno! Chi è lui per giudicare ció che dice il mio cuore? Chi è per impedirmi di rivolgere dei pensieri ad un mio zio? Si trattava solo di usare il microfono e il leggio dopo la messa! Cafone, presuntuoso e ignorante. Sono indignata! Voleva fare il prete alternativo con toni giovanili e si è atteggiato a grande conoscitore della lingua latina per aver detto l'etimologia della parola "amore". Una messa, e a maggior ragione un funerale, richiede toni solenni e pacati. Quello sembrava Jesus Christ Superstar, gesticolava con enfasi esagerata e strillava.



Date una ragione a questo!

IO MI VERGOGNO!


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